“Donne e mogli: immagini antiche e proiezioni moderne” – Prof.Carlo Venturini
25 Set 2012
Conferenza del Prof. CARLO VENTURINI ordinario presso il Dipartimento di Diritto Privato, cattedra di Diritto Romano e Diritti dell’Antichità, dell’Università di Pisa, sul tema : “Donne e mogli: immagini antiche e proiezioni moderne”.
1. Le ricostruzioni storiche sono strumentali, in quanto, normalmente, si affermano in ragione della loro idoneità a conferire al presente una patina di alta risalenza oppure a nobilitarlo in chiave polemica rispetto ad una negativa situazione. A ciò non si sottrae l’attribuzione al diritto romano di una disciplina di sottomissione della donna all’uomo, in conformità ad una costruzione ottocentesca che persiste tuttora ed è viziata dal grave difetto storiografico di valutare il passato alla luce di convinzioni e idealità del presente.
2. E’ dunque il caso di chiarire che l’esclusione delle donne dalle funzioni di magistrato derivava, semplicemente, dal legame tra magistrature, partecipazione alle assemblee e attitudine militare, mentre un passo famoso che nega la loro attitudine a svolgere la funzione di giudice si preoccupa di chiarire che la circostanza derivava dal costume e non da carenze intellettuali: il motivo della leggerezza d’animo femminile non è di origine romana ma greca. Quanto, poi, alla sottoposizione a tutela, che impediva alla donna un’autonoma gestione del suo patrimonio, si deve tenere presente che l’istituto, sorto a fini ereditari, era in crisi già nel primo secolo d.C. A ristretti ambienti nobiliari, infine, era circoscritta la pratica di una sottoposizione della moglie alla potestà del marito che la privava della personale capacità giuridica e, per converso, le conferiva qualità di sua possibile erede: di regola, infatti, il matrimonio non comportava l’ingresso della sposa nella famiglia del marito e non comprometteva né la possibilità per lei di ereditare dal padre né, se questi era defunto, la titolarità di un autonomo patrimonio, separato dall’eventuale dote.
La misura della restituzione di questa assumeva, d’altra parte, grande importanza in caso di divorzio. Esso poteva aver luogo per effetto di semplice volontà di uno dei due coniugi: fatto, questo, talvolta generatore di incertezze. Svolgeva, peraltro, un ruolo essenziale l’attribuzione della colpa, generando nelle Scuole retoriche un’ampia elaborazione in materia di giusto o ingiusto ripudio e di maltrattamento. Le vicende di Mecenate, oggetto da parte di Terenzia di continui ripudi seguiti da prezzolate riconciliazioni produssero, a loro volta, la difficoltà di distinguere il divorzio dal semplice litigio.
3. Apartire da Costantino, la legislazione, solo in parte influenzata dal Cristianesimo, cercò di frenare gli scioglimenti unilaterali, ammettendoli in presenza di cause giustificative e sanzionandoli in loro assenza. Da ciò ebbe origine una casistica varia e complessa, che ancorava il divorzio al sussistere di situazioni che permettevano di configurare un colpevole ed un’innocente e che coltivò questa prospettiva fino a vietare lo scioglimento consensuale. Non è, però, giustificato distinguere tra matrimonio classico e postclassico, valutando il primo come situazione di fatto caratterizzata da consenso continuativo ed il secondo come contratto indissolubile, generato dal consenso iniziale. L’indissolubilità del matrimonio consumato fu, infatti, affermata in epoca medioevale da parte della Chiesa, in sintonia con l’assunzione del matrimonio al livello di sacramento: fatto, questo, che determinò la comminazione, da parte del Concilio di Trento, dell’anatema contro chi avesse negato la competenza esclusiva dei giudici ecclesiastici in materia.
4. La valutazione del matrimonio in chiave contrattuale fu, viceversa, posta a profitto dalle legislazioni illuministiche per sostenere la competenza dell’autorità civile e, dunque, l’introduzione del divorzio, alimentando confliggenti linee politiche e violenti scontri ideologici nell’Italia postunitaria, dove, in chiave di compromesso, il legislatore aveva scelto la via anomala della indissolubilità civile, anche se il divorzio era stato introdotto durante la dominazione napoleonica: sentenze di divorzio dovettero, poi, essere pronunziate in seguito all’ annessione dei territori già appartenenti all’Impero austroungarico. La vicenda dei «divorzi fiumani» costituisce, sotto questo aspetto, un caso limite. Nel contesto delle aspre contese, ricche di episodi curiosi e protrattesi fino all’età di Giolitti, tra fautori e nemici del divorzio si inserisce l’accentuata esaltazione dell’ indiscriminata libertà di divorzio propria del diritto romano classico, in chiave di evidente sostegno alle posizioni divorziste: permetteva, infatti di superare l’impostazione del divorzio come sanzione o come frutto di mutuo consenso.
5. Dopo il primo conflitto mondiale, la legge n. 1176 del 1919 abrogò l’autorizzazione maritale ed aprì alle donne quasi tutte le professioni, escluse solo quelle che comportavano l’esercizio di poteri giurisdizionali o militari, mentre il Concordato del 1929 mise a tacere le polemiche sul divorzio, destinate a riproporsi nel secondo dopoguerra fino alla legge 898/1970 ed alla riforma del diritto di famiglia.
La concezione del matrimonio contratto è oggi attenuata anche nel canone 1055 del nuovo Codice canonico ed è subentrata al suo posto una concezione (piuttosto vaga) di tipo solidaristico. A ciò non è estraneo il fatto che Paesi di antica tradizione divorzista ammettono il divorzio con minore larghezza rispetto ai Paesi cattolici e, in particolare, all’Italia, specie dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975.
CARLO VENTURINI
Conviviale rotariana. Perugia, 20 settembre 2012